28 giugno 2019
Il marchio collettivo
Ai sensi dell’art 27 della Direttiva UE 2015/2436, dall'articolo 2570 c.c.,
e dall'art. 11 del CPI, si definisce «marchio collettivo» un marchio
d'impresa così designato all'atto del deposito,
e idoneo a distinguere i prodotti o servizi dei membri
dell'associazione titolare da quelli di altre imprese.
La cui registrazione viene richiesta
non da un singolo imprenditore per contraddistinguere i prodotti della
propria azienda, bensì “da soggetti che svolgono la funzione di
garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o
servizi” e che, come tali, “possono ottenere la registrazione di marchi
collettivi per concederne l’uso, secondo le norme dei rispettivi
regolamenti, a produttori e commercianti”.
Basti citarne due tra i più noti: Bancomat e Grana Padano
, per avere maggiore chiarezza sul profilo caratteristico di tale marchio,
ideato per tutelare il consumatore in quanto utilizzabile da un insieme di consorziati per la produzione di un prodotto o
servizio secondo uno specifico regolamento. Ma possono richiedere la
registrazione di un marchio collettivo solo le: “persone giuridiche di
diritto pubblico e le associazioni di categoria di fabbricanti, produttori,
prestatori di servizi o commercianti; escluse quindi le società Spa, Srl e
le soc. in accomandita per azioni.
I soggetti che svolgono la funzione di garanti dell’origine o della qualità di determinati
prodotti o servizi, possono inoltre ottenere la registrazione a condizione
di depositare, unitamente al segno distintivo, anche i regolamenti concernenti l’uso dello
stesso, le modalità dei controlli e le relative sanzioni. La funzione di
garanzia che è chiamato a svolgere il titolare è fondamentale per il
successo del marchio. Sia perché deve vigilare affinché i soggetti
legittimati ad utilizzarlo non infrangano le clausole regolamentari, dato
che l’omesso controllo può essere causa di decadenza del marchio stesso. Ma
soprattutto perché il titolare del segno distintivo è l’unico legittimato
all’azione di contraffazione di marchio (N1) in caso di abuso del
marchio da parte di terzi.
I vantaggi principali sono quello di avvalersi di una comune tutela
anticontraffazione del Made in Italy ma soprattutto di potersi avvalere di
un importante fattore di MKT come può essere la provenienza geografica.
Tanto che il Dlgs. 15/2019 prevede che: Qualsiasi soggetto i cui prodotti o
servizi provengano dalla zona geografica in questione ha diritto sia a fare
uso del marchio, sia a diventare membro della associazione di categoria
titolare del marchio, purché siano soddisfatti tutti i requisiti di cui al
regolamento”.
Il Marchio di Certificazione
Il marchio di certificazione è definito anch’esso dall’art. 27 della
Direttiva (UE) 2015/2436, come un marchio d'impresa così designato all'atto
del deposito della domanda e idoneo a distinguere i prodotti o servizi
certificati dal titolare del marchio in relazione al materiale, al
procedimento di fabbricazione dei prodotti o alla prestazione dei servizi,
alla qualità, alla precisione o ad altre caratteristiche da prodotti e
servizi che non sono certificati. È bene sottolineare la caratteristica
distintiva di tali marchi, che li assimila a dei segni aventi lo scopo di
certificare determinate caratteristiche dei prodotti o dei servizi; ed in
primis la qualità. Data l’importanza della essenziale funzione di
certificazione cui il marchio si voca, il Dlgs. 15/2019, nel recepire le
disposizioni della citata Direttiva, ha teso a rimarcare la funzione di
terzietà del certificatore titolare del marchio, disponendo che: “Le
persone fisiche o giuridiche, tra cui istituzioni, autorità ed organismi
accreditati ai sensi della vigente normativa in materia di certificazione,
a garantire l'origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o
servizi, possono ottenere la registrazione per appositi marchi come marchi di certificazione,
a condizione che non svolgano un’attività che comporta la fornitura di
prodotti o servizi del tipo certificato (corsivo di redazione).
Oltre a disporre anche che la domanda di
registrazione deve essere depositata con allegati i regolamenti concernenti
l'uso dei marchi di certificazione, nonché i controlli e le relative
sanzioni. Stante la frequente correlazione tra qualità e territorio di
provenienza dei prodotti, si è poi previsto che: “In deroga all'articolo
13, comma 1 (del CPI), un marchio di certificazione può consistere in segni
o indicazioni che nel commercio possono servire per designare la provenienza geografica dei prodotti o servizi. In tal caso, peraltro, l'Ufficio italiano
brevetti e marchi può rifiutare, con provvedimento motivato, la
registrazione quando i marchi richiesti possano creare situazioni di
ingiustificato privilegio o comunque recare pregiudizio allo sviluppo di
altre analoghe iniziative nella regione”. Il vantaggio per il consumatore,
che queste nuove norme consentono, è quello di potersi sentire virtualmente
e maggiormente garantito da un marchio di certificazione che sia
rilasciato nel rispetto di tutti i requisiti richiesti.
L’emblema Stellone per il Made in Italy
Un emendamento al Decreto Crescita prevede, al momento in cui si
scrive, che le aziende esportatrici – a fini promozionali – accanto alla
locuzione “Made in Italy” - possano utilizzare sui loro prodotti il
cosiddetto “Stellone”, emblema della Repubblica; a maggiore tutela della
proprietà intellettuale e commerciale. Si dovrebbe trattare di un’azione
volontaria e a pagamento, i cui dettagli esplicativi saranno oggetto di un
apposito decreto del MEF. Ma rimangono ancora forti perplessità sulla sua
approvazione.
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(N1) In base all’articolo 473 del c.p.: “Chiunque contraffa’ o altera i
marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, delle opere dell’ingegno o
dei prodotti industriali, ovvero, senza essere concorso nella
contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o segni contraffatti o
alterati, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a
lire quattro milioni. Alla stessa pena soggiace chi contraffa’ o altera
brevetti, disegni o modelli industriali, nazionali o esteri, ovvero, senza
essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali
brevetti, disegni o modelli contraffatti o alterati.”